Un'analisi dei fattori legati alla motivazione degli studenti d'italiano della Kyoto Sangyo University (Giappone)
An Analysis of the Factors Related to the Motivation of Students of Italian at Kyoto Sangyo University (Japan)
Un análisis de los factores relacionados con la motivación de los estudiantes de italiano de la Universidad Kyoto Sangyo (Japón)
DOI:
https://doi.org/10.15446/male.n10.54339Palabras clave:
italiano come lingua straniera, motivazione, studenti universitari, educazione universitaria in Giappone (it)Japón, motivación, estudio del italiano, convicciones, evaluación, aprendizaje activo (es)
Japan, motivation, study of Italian, beliefs, assessment, active learning (en)
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Questo contributo è basato su una raccolta di dati eseguita attraverso due questionari sottoposti agli iscritti al I e II anno dei corsi di Lingua Italiana della Kyoto Sangyo (Giappone), tra l'aprile e il luglio 2015[1]. I questionari investigavano le opinioni degli allievi relativamente ai fattori che influivano, a loro avviso, sulla motivazione verso lo studio dell’italiano e sono stati somministrati in due momenti diversi del corso (rispettivamente dopo 10 e dopo 30 lezioni).
I risultati mostrano considerazioni legate ad una grande varietà di ambiti: si spazia dalla società e dal sistema di valori giapponese all’organizzazione e alle condizioni materiali dell’Ateneo, fino al ruolo della famiglia. L’esame delle opinioni degli apprendenti mostra inoltre come questi elementi convergano anche nella formazione delle loro convinzioni rispetto allo studio.
Gli studenti, tuttavia, mostrano di ritenere che la propria motivazione sia strettamente connessa anche alla struttura e alla conduzione della lezione: vengono infatti percepite come motivanti attività le cui caratteristiche sono legate all’apprendimento attivo, il che conferma la relazione esistente fra questo e la motivazione (e, di conseguenza, la memoria). Emergono inoltre altri fattori che integrano le modalità in cui si svolgono le attività: il clima della classe, necessariamente privo di tensione, l’atteggiamento sorridente e gentile dell’insegnante, che sa ricorrere all’umorismo, è entusiasta e allegro. Si accenna inoltre alle opinioni espresse su temi controversi ma sempre molto attuali, quali il ruolo della valutazione, dei compiti a casa e sull'organizzazione dell’orario delle lezioni.
[1] Si ringraziano tutti gli studenti che hanno collaborato alla ricerca.
Este trabajo está basado en la recolección de datos realizada a través de dos cuestionarios enviados a los estudiantes de primer y segundo año de italiano de la Universidad Kyoto Sangyo (Japón) en mayo y julio de 2015. Los cuestionarios indagaron las opiniones de los estudiantes sobre los factores que, en su opinión, motivaron su estudio del italiano. Dichos cuestionarios se aplicaron en dos momentos diferentes del curso. Los resultados mostraron consideraciones relacionadas con una amplia variedad de ámbitos, dentro de los cuales están los factores sociales y del sistema de valores japoneses, así como la organización de la universidad, su ambiente e incluso el papel de la familia. El análisis de las opiniones demostró cómo estos elementos también han influido en la formación de sus convicciones hacia el estudio. Sin embargo, los estudiantes indicaron que su motivación también está estrechamente relacionada con la estructura y el desarrollo de las clases; de hecho, perciben como motivadoras las actividades cuyas características están vinculadas con un aprendizaje activo. Esto confirma la conexión que hay entre dicha estrategia de aprendizaje y la motivación y, por consiguiente, la memoria. Surgieron además otros factores que complementan la forma en la que se llevan a cabo las actividades: un ambiente libre de tensión en el aula, así como un profesor divertido, entusiasta y alegre que tenga una actitud amable y sonriente. También surgieron opiniones con respecto a temas controvertidos pero siempre relevantes, tales como el papel de la evaluación, la tarea y el horario de clase.
Un'analisi
dei fattori legati alla motivazione degli studenti d'italiano della Kyoto
Sangyo University (Giappone)
Un análisis de los factores
relacionados con la motivación de los estudiantes de
italiano de la Universidad Kyoto Sangyo (Japón)
An
Analysis of the Factors Related to the Motivation of Students of Italian at
Kyoto Sangyo University (Japan)
Francesco Diodato
Laurea del vecchio ordinamento in
Studi Comparatistici, Master universitario di primo livello in Didattica e
promozione della lingua e cultura italiane a stranieri, Master universitario di
secondo livello in Multimedialità per l'e-learning, Master universitario di
secondo livello in Progettazione avanzata dell'insegnamento della lingua e
della cultura italiane a stranieri
Docente di lingua italiana presso la Kyoto Sangyo
University, Kyoto, Giappone
Recibido: 23 de noviembre de 2015
Aprobado: 29 de noviembre de 2017
Abstract
Questo contributo
è basato su una raccolta di dati eseguita attraverso due questionari sottoposti
agli iscritti al I e II anno dei corsi di Lingua Italiana della Kyoto Sangyo
University (Giappone), nel maggio e
nel luglio 2015. I questionari investigavano le opinioni degli allievi
relativamente ai fattori che influivano, a loro avviso, sulla motivazione verso
lo studio dell'italiano e sono stati somministrati in due momenti diversi del
corso. I risultati mostrano considerazioni legate a una grande varietà di
ambiti: si spazia dalla società e dal sistema di valori giapponese
all'organizzazione e alle condizioni materiali dell'Ateneo, fino al ruolo della
famiglia. L'esame delle opinioni degli apprendenti mostra inoltre come questi elementi
convergano anche nella formazione delle loro convinzioni rispetto allo studio. Gli
studenti, tuttavia, mostrano di ritenere che la propria motivazione sia
strettamente connessa anche alla struttura e alla conduzione della lezione:
vengono infatti percepite come motivanti attività le cui caratteristiche sono
legate all'apprendimento attivo, il che conferma la relazione esistente
fra questo e la motivazione e, di conseguenza, la memoria. Emergono inoltre
altri fattori che integrano le modalità in cui si svolgono le attività: il
clima della classe, necessariamente privo di tensione, l'atteggiamento
sorridente e gentile dell'insegnante, che sa ricorrere all'umorismo, è
entusiasta e allegro. Si accenna inoltre alle opinioni espresse su temi
controversi ma sempre molto attuali, quali il ruolo della valutazione, dei
compiti a casa e sull'organizzazione dell'orario delle lezioni.
Parole chiave: Giappone, motivazione, studio dell'italiano, convinzioni, valutazione, apprendimento attivo
Resumen
Este trabajo está basado en la recolección de datos realizada a través de dos cuestionarios enviados a los estudiantes de primer y segundo año de italiano de la Universidad Kyoto Sangyo (Japón) en mayo y julio de 2015. Los cuestionarios indagaron las opiniones de los estudiantes sobre los factores que, en su opinión, motivaron su estudio del italiano. Dichos cuestionarios se aplicaron en dos momentos diferentes del curso. Los resultados mostraron consideraciones relacionadas con una amplia variedad de ámbitos, dentro de los cuales están los factores sociales y del sistema de valores japoneses, así como la organización de la universidad, su ambiente e incluso el papel de la familia. El análisis de las opiniones demostró cómo estos elementos también han influido en la formación de sus convicciones hacia el estudio. Sin embargo, los estudiantes indicaron que su motivación también está estrechamente relacionada con la estructura y el desarrollo de las clases; de hecho, perciben como motivadoras las actividades cuyas características están vinculadas con un aprendizaje activo. Esto confirma la conexión que hay entre dicha estrategia de aprendizaje y la motivación y, por consiguiente, la memoria. Surgieron además otros factores que complementan la forma en la que se llevan a cabo las actividades: un ambiente libre de tensión en el aula, así como un profesor divertido, entusiasta y alegre que tenga una actitud amable y sonriente. También surgieron opiniones con respecto a temas controvertidos pero siempre relevantes, tales como el papel de la evaluación, la tarea y el horario de clase.
Palabras clave: Japón,
motivación, estudio del italiano, convicciones, evaluación, aprendizaje activo
Abstract
This
contribution is based on data collected via two questionnaires presented to
students registered in the first and second year of Italian Language
courses at Kyoto Sangyo University (Japan) in May and July 2015. The
questionnaires investigated students' opinions concerning the factors which
influenced, in their estimation, their motivation toward the study of Italian
and were administered on two separate occasions during their respective
courses. The results highlight considerations related to a wide variety of
areas including societal factors and the Japanese system of values, University
organization and physical environment, and the role of the family. The
examination of learners' opinions further shows how these elements also lead to
the formation of their beliefs about studying. However, students seem to
believe that their own motivation is also closely connected to structure and
management of the lessons; indeed, activities whose features are linked to active learning are felt as motivating,
which confirms the existing connection between this and motivation and,
consequently, memory. Other factors which complement the modalities in which
the activities are carried out emerge: a necessarily tension-free classroom environment
as well as a humorous, enthusiastic and cheerful teacher who smiles and is kind.
Further opinions regarding controversial but always relevant topics, such as
the role of assessment, homework and the class schedule, also emerge.
Keywords: Japan,
motivation, study of Italian, beliefs, assessment, active learning
Il tema
della motivazione degli studenti universitari, a giudicare dal numero di
ricerche eseguite negli ultimi anni, sembra essere molto sentito in Giappone, ma non di rado i docenti sono propensi a considerarla come qualcosa di innato. Ne consegue che gli interventi volti a svilupparla
e migliorarla sono spesso esigui quando non
del tutto assenti. In questo contesto, il presente contributo si propone di analizzare i maggiori fattori relativi allo
sviluppo della motivazione, e su quali di essi e in che misura l'insegnante
possa esercitare un'influenza tale da poter realizzare l'obiettivo di un incremento del grado di attenzione e di
partecipazione degli allievi.
La ricerca,
di tipo qualitativo, è stata condotta in due classi di apprendenti del corso
intensivo d'italiano presso la Faculty of Foreign Studies della Kyoto Sangyo
University durante il primo semestre dell'anno accademico 2015/2016[1] e riguarda esclusivamente le lezioni affidate
all'autore della presente ricerca. Delle due classi, una era costituita
prevalentemente da studenti del primo anno; pertanto, tranne che per qualche
eccezione, all'inizio del corso privi di conoscenze pregresse di lingua italiana. La competenza degli
iscritti dell'altra, formata principalmente da studenti del secondo anno,
raggiungeva mediamente il livello A1[2].
Per
raccogliere i dati sono stati messi a punto due questionari somministrati in
momenti diversi del corso: il primo dopo 10 lezioni e il secondo dopo 30
lezioni, alla fine del primo semestre[3]. Il
primo questionario aveva la duplice funzione di "foglio di dialogo tra docente
e studenti" e di strumento utile per un'indagine preliminare sulla motivazione.
Il foglio di dialogo è previsto dall'Ateneo, il
quale permette al docente sia di usare una forma predefinita fornita dall'Ateneo
stesso, che di elaborarne uno personale da presentare alle proprie classi, come
in questo caso. Il suo fine è
quello di dare la possibilità all'insegnante, qualora lo ritenga necessario, di
correggere il tiro delle lezioni e di chiarire eventuali incomprensioni circa
gli obiettivi, la valutazione ecc. Per questa ragione, le domande in esso
contenute riguardavano la motivazione degli apprendenti nei confronti del
corso, il loro grado di partecipazione alle lezioni, il loro impegno oltre
l'orario delle lezioni, la metodologia adottata dal docente e il tipo di
attività svolte in classe. Il secondo questionario, invece, è stato predisposto
con l'intento di approfondire alcuni aspetti emersi dai risultati ricavati dal
primo. Sono state, pertanto, inserite domande inerenti agli altri docenti
dell'Ateneo, ai compagni di classe, alla famiglia, agli stessi intervistati,
all'università e agli amici. Per entrambi i questionari si è optato per domande
a risposta aperta. Benché queste richiedessero tempi maggiori per la
compilazione e per l'analisi, si è ritenuto opportuno dare ampia libertà agli
studenti, sperando in questo modo di poter acquisire anche dati che andassero
oltre ogni nostra supposizione. Si è altresì deciso di lasciare agli studenti
la facoltà di scegliere se inserire il proprio nome nei questionari, auspicando
che da questo accorgimento sarebbe risultata una maggiore sincerità nelle
risposte. Il primo questionario raccoglie le risposte di 46 apprendenti di età
compresa tra i 18 e i 23 anni, di cui 28 ragazzi e 13 ragazze. Cinque
questionari erano anonimi. Gli intervistati per il secondo, di età compresa tra
i 18 e i 22 anni, sono stati 41, di cui 24 ragazzi e 15 ragazze. Due
questionari erano anonimi. Le risposte sono state date nella loro lingua madre.
Motivazione e motivazioni
La
motivazione spiega perché qualcuno decida di fare qualcosa, con quanto impegno
e per quanto tempo, ma trovare una risposta a queste tre domande è cosa molto
ardua considerata la complessità dell'essere umano, il cui comportamento può
essere influenzato da numerosi fattori (Dörnyei, 2012). Mariani (2008) afferma
che "il costrutto 'motivazione'" è così variegato e complesso che sarebbe
meglio parlare "di 'motivazioni', diverse da individuo a individuo e, per lo
stesso individuo, mutevoli" ed individua una motivazione rispetto ai contesti
di lavoro (discipline diverse, insegnanti diversi, compagni diversi ecc.),
un'altra "rispetto alle dimensioni dell'esperienza" (la motivazione nei
confronti di una particolare disciplina o attività è diversa dalla "motivazione
come disposizione generale verso l'apprendimento nel suo complesso") e un'altra
ancora "rispetto alle dimensioni temporali" (p. 26) (nel senso che la
motivazione varia nel tempo).
Motivazione
intrinseca ed estrinseca
Benché
esistano diverse teorie sulla motivazione, in questo lavoro si darà particolare
evidenza alla distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca, non solo
per il grande seguito che ha avuto, ma anche perché più adatta ai fini di
questo studio.
Deci e Ryan
(2004), citando Deci, e Deci e Ryan, affermano che la motivazione intrinseca
"implica il partecipare a un'attività per il piacere e la soddisfazione
inerenti nell'attività stessa"[4] (p. 42), ma seguendo Mariani (2008),
tuttavia, si ritiene importante chiarire che "la motivazione non risiede
nell'argomento o nel compito, ma è una disposizione che origina pur sempre
dalla persona (che in realtà non fa dunque qualcosa 'per la cosa in sé', ma per
se stessa)" (pp. 50-51).
Di contro,
sempre secondo Deci e Ryan (2004), la motivazione estrinseca "si riferisce a
una vasta gamma di comportamenti aventi in comune il fatto che si partecipa
alle attività non per ragioni insite in esse ma per ragioni strumentali" (p.
42).
Polito
(2014), citando Deci e Ryan, asserisce che la motivazione intrinseca è migliore
di quella estrinseca: la seconda "ha la caratteristica strutturale di essere
debole, precaria e fragile" (p. 29), ma ne riconosce l'utilità iniziale come
incentivo, benché, a differenza di quella intrinseca, non sia duratura. Gli allievi motivati
intrinsecamente, sostiene a ragione Polito (2014), "sono più forti e
resistenti", e sanno che "il risultato scolastico dipende direttamente dal loro
impegno" (p. 31).
Riguardo
a questi apprendenti, lo studioso si esprime come segue: "Non si inventano
scuse, non si raccontano bugie, non proiettano le proprie colpe sugli altri. Si
sentono responsabili davanti a se stessi e padroni del proprio comportamento" (Polito,
2014, p. 31). A questo proposito, interessante è l'affermazione di Mariani
(2008) secondo la quale "è irrealistico pensare che tutti gli studenti,in tutte
le circostanze, possano esibire una motivazione di tipo intrinseco" (p. 54),
per il fatto che molto probabilmente, se ne avessero la facoltà, invece di
svolgere le attività scolastiche, dove generalmente non hanno nessun controllo
sui contenuti e sui metodi, si dedicherebbero molto volentieri ad altro.
Anderman
e Anderman (2014) non escludono che le due motivazioni possano coesistere: "Uno
studente può avere una motivazione intrinseca alta o bassa per un compito e una
motivazione estrinseca alta o bassa per lo stesso compito" (p. 39). In altre
parole, gli apprendenti possono essere contemporaneamente interessati allo
studio, un fattore intrinseco, e al conseguimento di buoni voti, che però
costituisce un incentivo estrinseco. Questo atteggiamento sembra essere
realistico, dal momento che gli insegnanti, fra i loro altri doveri, hanno
anche quello di assegnare dei voti.
Infine, Pallotti (2006) ricorda che "[u]n apprendente che abbia molti validi motivi per imparare la L2 sarà nel complesso più motivato di uno che ne abbia pochi e deboli" (p. 215) (vedi (44)) e suggerisce di ricorrere alla motivazione estrinseca solo qualora non fosse possibile motivare gli allievi in nessun altro modo. Negli altri casi, aggiunge, la motivazione estrinseca dovrebbe rivestire un ruolo secondario, quel tanto che basta per stimolare un'"ansia facilitativa" che può riflettersi con effetti benefici sull'apprendimento. D'altro canto, Hiromori (2013) precisa che "nessun singolo motivo è 'buono' o 'cattivo' in senso assoluto" (p. 294). La motivazione intrinseca può certo essere un buon motivo per decidere di apprendere una lingua, ma intrapreso lo studio e compresa l'entità dell'impegno richiesto, lo si potrebbe trovare meno piacevole del previsto, come Hiromori (2013), citando Hayashi, ricorda. Del resto, studiare per ottenere buoni voti non è una cosa negativa, ma il loro ottenimento non è garantito. Il suggerimento di Hiromori (2013), basato su varie teorie, verte dunque su un giusto equilibrio di motivi su cui contare per studiare una lingua, in modo che quelli più deboli o che stanno per sparire possano essere ravvivati da altri motivi più forti.
La valutazione
e la motivazione estrinseca
Mariani
(2008) afferma che "ricompense e punizioni, abbassando il senso di
autoregolazione, invitano gli individui a fare quanto più possibile nel più
breve tempo possibile, a prendere scorciatoie, a scegliere compiti facili, che
non facciano correre i rischi implicati in compiti più impegnativi" (p. 58).
Stando allo studioso, la forma istituzionale assunta da ricompense e punizioni
è, secondo una percezione spesso diffusa tra gli studenti, la valutazione. Si
studia dunque per la promozione e, affermano Wentzel e
Brophy (2014), per raggiungere lo scopo si adottano strategie appropriate[5].
Barkley (2009), basandosi sul lavoro di Kohn, ricorda che gli allievi possono
decidere di iscriversi a corsi in cui è più
facile ottenere voti alti in modo da mantenere il livello della loro media: in casi come questi la "generosità"
dell'insegnante, pur sembrando risolvere il problema
della motivazione nell'immediato, può
successivamente rivelarsi controproducente per lo sviluppo della motivazione intrinseca.
L'enfasi
sui voti, che può indurre alcuni apprendenti a barare durante gli esami, non
origina solo dall'insegnante: anche le aspettative dei genitori (brutti voti
possono comportare una punizione, mentre grazie a bei voti si ottengono lodi o
addirittura regali) e determinate condizioni legate ai regolamenti
dell'università (voti bassi escludono l'accesso a determinati privilegi)
giocano un ruolo importante (Anderman e Anderman, 2014).
Per Polito
(2014) la valutazione può essere deterrente
(dunque punitiva) o valorizzante.
Mentre nel primo caso si studia solo
per il voto o per ricevere l'apprezzamento di qualcun altro (i genitori, l'insegnante) e non per il desiderio di imparare né per se stessi, nel secondo si ha
una visione educativa, attraverso la quale l'insegnante valorizza lo studente e lo aiuta a sviluppare le sue
potenzialità. Alla domanda se i voti vadano aboliti, Polito (2014) risponde: "Non è necessario abolire i voti, se si
recupera la funzione educativa e culturale della scuola. Basta questo
ripensamento a risvegliare la motivazione scolastica e a svuotare i voti del
loro veleno demotivante" (p. 356). Dello stesso avviso sembra Pallotti (2006)
quando chiarisce che "'sviluppo della motivazione estrinseca' non è sinonimo di
'valutazione' né di 'correzione degli errori'": queste infatti "possono aver luogo anche senza implicare alcuna idea di
ricompensa o sanzione" (p. 311, n. 9), fattori fondamentali che definiscono la
motivazione estrinseca. Si può pertanto ridurre il peso della motivazione
estrinseca senza necessariamente sminuire la portata della valutazione o della
correzione degli errori. Pur riconoscendo l'importanza di queste osservazioni,
siamo indotti a ritenere che i voti, così come la correzione degli errori,
possano limitare l'autonomia degli apprendenti, poiché rappresentano un mezzo attraverso il quale il docente esercita un controllo. In questo modo, il problema che Pallotti (2006) attribuisce alla
motivazione estrinseca rimane però irrisolto:
Uno
studente mosso esclusivamente dalla motivazione estrinseca difficilmente potrà
essere detto autonomo: la sua acquisizione sarà condizionata dal bisogno di
essere valutato positivamente dagli altri, non saprà prefiggersi obiettivi di
apprendimento individuali e non sarà in grado di giudicare da solo se ha
compiuto o meno progressi (p. 310).
Rispetto a
questa difficoltà, l'esperienza alla base del presente lavoro mostra piuttosto come non sia attraverso i voti (vale a dire attraverso un giudizio proveniente dall'esterno), ma
attraverso lo svolgimento di attività e il confronto fra pari che gli allievi
imparano a valutare i propri progressi e le proprie lacune, e a porvi rimedio
in maniera autonoma (vedi (63)).
L'apprendimento attivo e la
motivazione
Barkley (2009)
asserisce che quanto si intende attraverso apprendimento attivo (così definito perché indica un
coinvolgimento attivo della mente), "si riferisce a diversi modelli
d'istruzione, inclusi l'apprendimento cooperativo e collaborativo, l'apprendimento
attraverso la scoperta, l'apprendimento esperienziale, l'apprendimento basato
sui problemi, e l'apprendimento basato sull'investigazione" (p. 16). Evidenzia,
inoltre, come gli apprendenti imparino veramente quando
viene loro richiesto di giungere da soli a una soluzione facendo leva sulle
proprie conoscenze ed esperienze.
Affinché
gli allievi si impegnino, devono essere sicuri di avere le capacità necessarie
per portare a termine un compito, e questo compito deve essere per loro
significativo. D'altro canto, perché un'attività possa essere percepita in modo
positivo, è importante che comporti un livello
di sfida e di sostegno dell'insegnante normalmente alti: in questo modo gli apprendenti, imparando qualcosa di nuovo, possono percepire l'utilità del compito, senza essere
condizionati dall'ansia per la paura di non essere in
grado di svolgerlo, perché grazie al sostegno ricevuto chi studia si sente rassicurato (Mariani, 2008). Inoltre, secondo Wentzel e Brophy (2014), se le attività vengono svolte spontaneamente e con la consapevolezza che la qualità dell'esecuzione non avrà gravi conseguenze, si preferiscono alti livelli di sfida e di abilità. Se invece
lo svolgimento delle attività viene presentato come un obbligo (e quindi per qualche ragione l'apprendente vuole a tutti i
costi riuscire a completarle con successo), si preferiscono attività che
comportino un livello di abilità superiore a quello
di sfida.
L'italiano in Giappone
Come
descritto da Carassia, Diodato e Hirose (2009), la lingua italiana ha
cominciato a guadagnarsi un posto importante in Giappone negli anni '90, sulla
scia del successo del Made in Italy
degli anni '80. Sono proprio gli anni '90, infatti, che vedono la nascita di un
programma televisivo per l'apprendimento della lingua italiana che, come quello
alla radio, viene mandato in onda ancora adesso[6].
Per seguire queste lezioni è possibile acquistare dei testi, reperibili in
qualsiasi libreria. Le tv giapponesi, a conferma dell'interesse nei confronti
del Bel Paese, spesso trasmettono
anche programmi di vario genere che hanno come tema l'Italia. Sono, inoltre, da
segnalare anche manifestazioni varie, quali il Festival del Cinema Italiano,
che si svolge dal 2001, e il fatto che diversi negozi e riviste hanno un nome
italiano [o italianeggiante].
Da qualche anno, aggiungiamo, ci sono anche canali televisivi che trasmettono
telefilm italiani.
Le
motivazioni di chi studia italiano, con variazioni dipese dall'età,
generalmente riguardano uno di questi ambiti: moda, design, cinema, cucina, e
più in generale gastronomia, musica (in particolare l'opera), Formula 1, vini,
arte, calcio, lavoro, bellezze naturali, viaggi, storia, letteratura, il modo
di vivere "all'italiana" (Carassia et al., 2009; Nannini, 2000) e MotoGP.
L'esperienza, tuttavia, insegna che in molti casi si tratta di motivazioni
deboli. Nannini (2000) afferma: "Soprattutto all'inizio, i discenti sono
spinti, in linea generale, da interessi abbastanza generici" (p. 234).
L'insegnamento
dell'italiano fu introdotto per la prima volta in un istituto d'istruzione
superiore giapponese nel 1899, presso la Tokyo School of Foreign Languages (l'attuale
Tokyo University of Foreign Studies) (Kikuchi, 2014). Secondo i dati del
Ministry of Education, Culture, Sports, Science and Technology
(Monbukagakushō. Kōtō kyōikukyoku. Daigaku shinkōka.
Daigaku kaizen suishinshitsu, 2016) in Giappone l'italiano si studia in 119
università, ossia il 15,6% del totale, posizionandosi all'ottavo posto dopo, in
ordine, l'inglese, il cinese, il francese, il tedesco, il coreano, lo spagnolo
e il russo. Takada (2005) sostiene che l'italiano figura soprattutto tra gli insegnamenti
delle università in cui ci si specializza in musica, seguite da università in
cui si studiano le belle arti. Sempre secondo lo studioso, la lingua o la
letteratura italiana è materia di specializzazione in 7 università[7],
tra cui la Kyoto Sangyo University. Il Ministry of Education, Culture, Sports,
Science and Technology (Monbukagakushō. Shotō chūtō
kyōikukyoku. Kokusai kyōikuka, 2016) rende noto che l'italiano è
insegnato anche in 13 scuole secondarie di secondo grado e in una scuola
secondaria di primo grado.
Bisogna
aggiungere che ci sono corsi di lingua anche presso l'Istituto Italiano di
Cultura, con sede a Tokyo e a Osaka, presso Associazioni Italo-Giapponesi e in
numerose scuole private di lingue e centri culturali. Non bisogna infine dimenticare
gli insegnanti che impartiscono lezioni private. Secondo una stima, il numero
di chi studia italiano in Giappone si aggira intorno alle 500.000 persone
(Crisafulli, in Maugeri, 2011).
La voce degli studenti
In questo
paragrafo si riportano alcune delle opinioni espresse dagli studenti rispetto
ai fattori di vario genere che, a loro avviso, influenzano la propria
motivazione verso lo studio della lingua italiana.
Fattori
demotivanti
Il
quadro emerso dall'analisi dei questionari sembra essere piuttosto complesso.
Qui presenteremo le cause che gli studenti sentono connesse alla motivazione,
ma distinguendole secondo gli ambiti a cui competono.
Fattori esterni (società, famiglia, elementi
concreti del quotidiano all'interno dell'Ateneo, ecc.). Secondo uno degli allievi, la società attribuisce
eccessiva considerazione a voti e crediti (1), e, sempre dal punto di vista
dell'influenza dei fattori sociali sugli studi universitari, un altro esprime
la propria frustrazione rispetto al fatto che si tenda a dare priorità al nome
dell'università frequentata piuttosto che all'impegno dedicato al corso di
studi, probabilmente perché teme che questo possa condizionare in qualche
misura la sua futura ricerca di lavoro (2).
(1)
"Vorrei un ambiente in cui l'apprendimento fosse
qualcosa di piacevole". Motivo: "Perché c'è la tendenza a dare maggiore
importanza a crediti e voti".
(2)
"Vorrei che non si desse eccessiva importanza alla
reputazione dell'università".
Motivo: "Vorrei che si guardasse a come si
è studiato all'università".
In uno dei
commenti si afferma a chiare lettere che l'ateneo frequentato non è quello a
cui ci si sarebbe voluti iscrivere, ma che la scelta è caduta su questo perché
non si è riusciti a superare l'esame di ammissione del primo, e si dichiara,
senza mezzi termini, di non nutrire interesse alcuno per l'italiano, scelto
solo perché figura tra i corsi obbligatori previsti dal corso di laurea, la cui
scelta l'intervistato non è stato in grado di giustificare (3).
(3)
Domanda: "Perché hai pensato di studiare l'italiano?"
Risposta:
"È materia obbligatoria del mio corso di laurea. Non avendo superato l'esame di
ammissione dell'università alla quale aspiravo, non mi è rimasto che iscrivermi
qui. Non c'è nessun motivo particolare per cui io abbia scelto questo corso di
laurea".
Un discente
lamenta un'eccessiva importanza data al punteggio TOEIC, nonostante non
rappresenti le effettive capacità comunicative della persona (4).
(4) "[scil. Vorrei che] non [decidessero]
tutto in base al punteggio TOEIC".
Motivo:
"Pur ottenendo un punteggio TOEIC elevato non significa che si sappia parlare [scil.: l'inglese]".
Gli
studenti, dice un altro, hanno pochi soldi e per potersi mantenere e pagare l'università
sono costretti a lavorare part-time e ciò sottrae tempo allo studio. Inoltre,
gli iscritti all'ultimo anno devono anche cercare un lavoro a tempo pieno in
modo da poter cominciare subito a lavorare dopo la laurea (5).
(5) "In Giappone gli studenti ricevono troppo pochi
soldi. Attualmente, gli studenti che hanno chiesto un prestito per studiare
sono indebitati già da adolescenti. Gli studenti sono angosciati dalla
necessità di lavorare part-time. Si impegnano troppo nella ricerca di un
impiego per dopo la laurea e non possono studiare come dovrebbero".
Bisogna
anche riportare, basandosi sull'esperienza, che, se è vero che ci sono molti
studenti universitari che lavorano part-time, i motivi per cui lo fanno sono
tra i più diversi.
Alla
famiglia, tra le varie cose, si chiede protezione, sostegno, che possono
esprimersi nella preparazione di cibi graditi (6) o cestini da pranzo (7).
(6) "Vorrei
mangiare cose buone".
(7) "Vorrei
che mi preparassero il cestino da pranzo".
Motivo:
"Penso che, avendo qualcosa di piacevole che mi aspetta dopo la lezione, potrei
impegnarmi".
Accanto a
queste osservazioni, si leggono però anche quelle di chi preferisce che la
famiglia non interferisca (8) o chi vorrebbe che manifestasse interesse nei
confronti dell'Italia (9), fino a chi vorrebbe che qualche familiare lo
svegliasse in modo che riesca ad alzarsi per andare all'università, perché da
solo non ci riesce (10).
(8) "Vorrei
che non si intromettessero troppo nei miei affari".
Motivo: "Perché
mi chiedono più o meno sempre le stesse cose".
(9) "Vorrei
che ne sapessero di più dell'Italia".
(10)
"Vorrei che la mattina mi svegliassero".
Motivo: "[scil. Alzarmi presto] [l]a mattina non
fa per me".
Mettendo a
fuoco più precisamente le condizioni di vita universitaria e avvicinandoci così
all'aspetto che più ci interessa, si aggiunge qui che qualcuno gradirebbe, ad
esempio, un maggior numero di mense, minimarket, scale mobili (11), un maggior
numero di autobus da e per l'università[8] e
l'abolizione dei bagni alla turca (12).
(11)
"Vorrei più scale mobili, minimarket e mense".
Motivo:
"C'è troppa gente".
(12)
"Vorrei più autobus e che i bagni fossero tutti in stile occidentale".
Organizzazione dell'università, strutturazione dei
corsi. Molti degli intervistati (forse fin troppo
numerosi) disapprovano l'obbligo di seguire un certo numero di corsi d'inglese
per il conseguimento della laurea (13).
(13)
"Vorrei che abolissero i corsi d'inglese".
Motivo:
"Perché vorrei concentrarmi nello studio della lingua in cui mi specializzo [...]".
Non è
facile ipotizzare il motivo per cui vengano espresse queste opinioni, ma si può
congetturare o che gli apprendenti non siano sufficientemente consapevoli
dell'importanza che la conoscenza della lingua inglese riveste nel mondo di
oggi (per esempio nel momento in cui si cerca lavoro), oppure che il rifiuto da
loro manifestato potrebbe risalire al modo in cui lo studio di questa lingua è
stato affrontato nel passato, fino alle scuole superiori. Si dovrebbe imparare
perché si vuole e non perché si deve, altrimenti l'apprendimento non è
efficace, ma essendo l'importanza della lingua inglese innegabile, non può
essere ignorata da un corso di laurea come quello che frequentano. La soluzione
ideale dovrebbe dunque ispirarsi ad un approfondimento e una maggiore
precisione nell'individuazione delle ragioni di questo rifiuto e agire affinché
il desiderio di imparare l'inglese possa essere stimolato nelle sue motivazioni
più profonde.
Organizzazione e struttura dei corsi di lingua
italiana. Le lezioni di
conversazione d'italiano, essendo alla prima ora del lunedì e del venerdì (vedi
n. 2), sembrano avere per vari apprendenti un impatto negativo sulla
partecipazione poiché la stanchezza (spesso dovuta alla lunghezza degli
spostamenti) rende loro difficile una partecipazione efficace (14)-(15).
(14)
"Vorrei che le lezioni non fossero alla prima ora".
Motivo: "È
dura seguire lezioni di conversazione dalla prima ora".
(15) "Mi
risulta difficile frequentare perché le lezioni si tengono alla prima ora del
lunedì e del venerdì [...]".
I risultati
degli studi che indagano il sonno sembrano indicare che alzarsi la mattina
verso le 9 o le 10 o andare a dormire verso mezzanotte non implichino pigrizia
o vita sregolata negli adolescenti: ciò sembra invece riflettere il normale
ritmo biologico di questa età. Per questo motivo potrebbe essere auspicabile
far coincidere l'orario delle lezioni con l'orario biologico di quelli che devono
frequentarle (per esempio dando inizio alle attività didattiche fra le 10 e le
11) (Kelley, Lockley, Foster e Kelley, 2015).
Molti degli
intervistati lamentano il carico di lavoro richiesto da alcuni corsi, che
impedisce loro di dedicarsi con lo stesso impegno a materie per cui potrebbero
nutrire maggiore interesse, se non indurli addirittura a trascurarle
completamente, e queste richieste spesso non riguardano solo i compiti a casa,
ma anche la preparazione di prove intermedie[9]
(16).
(16)
"Vorrei che assegnassero meno compiti e che la quantità di cose da studiare per
le prove intermedie e la frequenza delle stesse fossero minori".
Motivo:
"Perché ci resta tempo solo per quella materia".
I compiti
richiesti per altre materie sembrano dunque talvolta interferire nel normale
svolgimento delle lezioni generando uno stato di ansia.
Trautwein
(citato in Anderman e Anderman, 2014) afferma che, anche se l'utilità dei
compiti è innegabile, il tempo a essi dedicato
è meno importante di altri aspetti, quali la frequenza con cui si assegnano e
l'impegno degli studenti durante lo svolgimento. Quest'ultimo aspetto, secondo
Trautwein e Ludtke (citati in Anderman e Anderman, 2014), è legato all'utilità
che essi attribuiscono ai compiti e alle capacità che pensano di avere per
poterli svolgere.
Si ritiene
perciò che i compiti imposti, oltre a non avere nessuna utilità perché tutto
verrà dimenticato dopo poco, limitino l'autonomia degli studenti, distruggano
il piacere di imparare e accentuino la repulsione nei confronti dello studio e
della cultura. La soluzione ideale sarebbe, naturalmente, che i docenti si
impegnassero a svolgere lezioni talmente motivanti da facilitare gli studenti
nella scoperta del piacere di imparare: saranno poi loro a decidere
spontaneamente se dedicarsi allo studio e all'approfondimento di quanto
incontra maggiormente il loro interesse anche oltre l'orario delle lezioni
(vedi (69)).
Corsi e lezioni: contenuti, pratiche didattiche,
partecipazione. Una
delle richieste più frequenti è quella di lezioni più piacevoli perché se non
lo sono conciliano il sonno (17).
(17)
"Vorrei lezioni un po' più divertenti".
Motivo:
"Perché mi viene sonno".
A volte il
monologo del docente è difficile da seguire e si desidererebbe una lezione che
permettesse un certo livello di interazione e che quindi li veda partecipi in
un ruolo attivo. Questo li terrebbe lontani dagli smartphone e dallo
svolgimento di compiti per altre materie. Inoltre, una partecipazione attiva
potrebbe facilitare la memorizzazione dei contenuti (18).
(18)
"Vorrei lezioni in cui non fosse solo il docente a parlare, ma in cui venisse
richiesta una partecipazione maggiore agli allievi".
Motivo: "In
questo modo gli studenti non sarebbero tentati di fare compiti [scil. per altre materie] o di usare lo
smartphone e è più probabile che il contenuto delle lezioni venga memorizzato".
Fra le
cause di distrazione, si incontra anche il continuo bisbiglio dei compagni, al
quale l'insegnante non fa nulla per porre rimedio (19), o ancora, si vorrebbe
non essere invitati dagli amici prima degli esami, perché non si riesce a
rifiutare (20), un'altra prova, a nostro avviso, del peso eccessivo che studenti
e docenti attribuiscono alle verifiche.
(19)
"Vorrei che, nelle classi in cui c'è chi bisbiglia tanto, si prendessero misure
nei confronti degli studenti che disturbano".
Motivo:
"Perché ci sono casi in cui non smettono se nessuno gli dice niente".
(20) "[scil. Vorrei] [m]eno inviti a uscire
prima degli esami".
Motivo:
"Perché non posso rifiutare".
Uno degli
intervistati risponde di lasciarsi facilmente influenzare dai compagni di
classe, che hanno nei suoi confronti una funzione di traino, e, di conseguenza,
il suo impegno a lezione riflette il loro (21).
(21)
"Vorrei che a lezione si impegnassero".
Motivo:
"Perché penso che, se gli altri si impegnassero, mi impegnerei anch'io".
Queste
affermazioni mostrano che gli studenti hanno bisogno di aiuto per proteggersi
dalle interferenze. Se in classe è il
docente a ricordare, per esempio, che gli smartphone vanno spenti, a casa in
genere sono da soli e, come nota Polito (2014): "Molti studenti sono poco
concentrati, perché non prendono le opportune precauzioni per proteggere la
propria motivazione dalle numerose interferenze" (p. 37). Gli studenti, dunque,
devono imparare a disciplinarsi, ad automotivarsi[10].
Altre
opinioni riguardano la durata delle attività, considerata troppo estesa (22).
(22) "[...]
a volte penso che il tempo dedicato alle attività sia troppo".
Interessante
è che questo problema sia emerso solo nel primo questionario e non nel secondo,
il che potrebbe indicare una mancanza di abitudine rispetto a questo modo di
studiare. In ogni modo, per risolvere questa difficoltà, potrebbe essere
sufficiente svolgere attività più brevi all'inizio del corso e aumentare a poco
a poco la loro durata fino a raggiungere quella adeguata. Qualcuno si è
espresso negativamente rispetto alla durata delle lezioni vere e proprie,
ritenendo eccessivi 90 minuti e suggerendo di prevedere una pausa nel corso
della lezione o abbreviarne la durata, perché questo migliorerebbe il
rendimento (23).
(23) "[scil.
Vorrei] [l]ezioni più
brevi".
Motivo: "In
una lezione di 90 minuti non è possibile rimanere concentrati fino alla fine. La
lezione sarebbe più efficace se si facesse una pausa di 5 o 10 minuti o se
durasse 70 minuti".
Fra gli
elementi motivanti, è interessante la proposta di chi vorrebbe maggiori
opportunità di incontrare italiani, possibilmente coetanei, che potrebbero offrire
tanto una possibilità di praticare la lingua quanto una motivazione in più.
Questa opportunità potrebbe presentarsi grazie alla presenza di studenti
italiani nell'Ateneo tramite accordi interuniversitari: aumentare le occasioni
di incontro potrebbe contribuire certamente all'offerta formativa (24).
(24) "Per
quanto riguarda l'italiano, vorrei che ci fossero più occasioni di venire a
contatto con gli italiani dello stesso anno di corso".
La percezione della difficoltà. Le risposte ai questionari sembrano anche
indicare il peso esercitato sulla motivazione dalle convinzioni personali degli
studenti sul modo in cui si dovrebbe studiare/insegnare, acquisite in tanti
anni di "addestramento scolastico".
Di fronte
alla percezione delle difficoltà, nelle risposte degli allievi incontriamo due
commenti che esprimono due opinioni diametralmente opposte: mentre uno studente
del II anno, al primo questionario, in generale afferma che se le lezioni sono
divertenti la motivazione è alta nonostante le difficoltà (25), uno del I, nel
secondo questionario, riferito all'attività di ascolto, risponde che la
difficoltà dell'attività impedisce un aumento della motivazione (26).
(25) "È
difficile, ma piuttosto divertente, quindi la motivazione è alta".
(26) "Le
cose che stiamo facendo ora sono troppo complicate, difficilmente riesco a
comprenderle e la mia motivazione non aumenta".
Rispetto a
questo problema, è difficile stabilire se il livello della loro motivazione,
così com'è da loro espresso, sia una causa o un effetto. Nel primo caso, ciò
avvalorerebbe la tesi di Wentzel e Brophy (2014) sopra menzionata secondo cui
gli apprendenti più motivati preferiscono compiti più difficili e i meno
motivati preferiscono quelli più facili (per quanto sarebbe preferibile poter
far riferimento a un campione più ricco). Allo stesso tempo, per correttezza di
registrazione dei dati, si deve qui riferire che lo stesso studente che nel
questionario dichiarava un'alta motivazione ha poi abbandonato il corso, dopo
essersi assentato ripetutamente, il che permette di esprimere dei dubbi sulla
sua reale motivazione.
Al di là
della difficoltà oggettiva, la percezione di difficoltà di un'attività o di un
corso può avere cause diverse. Una di queste può derivare dalle convinzioni
dell'allievo. Yūki (2015b) sostiene che potrebbe trattarsi di un pretesto
che può aiutare a superare tanto lo shock dell'insuccesso ("non ce l'ho fatta
perché era difficile") quanto avvalorare il successo ("nonostante la
difficoltà"). Gli studi sembrano mostrare che chi ricorre a questa strategia ha
più probabilità di insuccesso rispetto a chi non lo fa[11].
Una parte
delle risposte riguarda invece la riflessione di come loro stessi possano
incentivare la propria motivazione: sono emerse proposte di vario genere,
interessanti sia per documentare la varietà delle opinioni, sia per
individuare, in alcuni casi, le loro convinzioni. Si ricordano qui strategie
menzionate secondo le affinità che presentano. Il primo gruppo (27)-(35)
riguarda lo studio; il secondo gruppo (36)-(41) l'autoregolazione; il terzo e
ultimo gruppo (42)-(47) motivazioni intrinseche ed estrinseche di vario tipo.
(27)
"Ripassare".
(28)
"Esercitarmi".
(29) "Fare
i compiti ogni giorno".
Motivo:
"Facendoli ogni giorno, posso capire e la motivazione aumenta".
(30) "Avere
un atteggiamento positivo nei confronti dello studio".
(31)
"Impegnarmi seriamente".
(32)
"Studiare tante parole e imparare la grammatica".
(33) "Fare
più domande".
(34)
"Adeguarmi allo stile dell'insegnante e degli altri senza perdere di vista il
mio".
(35)
"Impegnarmi secondo le mie possibilità".
(36)
"Imparare ad autoregolarmi".
(37)
"Studiare in treno quando vado all'università".
(38) "Fare
in modo che non fare ritardi né assenze diventi una cosa ovvia".
(39)
"Svegliarmi la mattina".
Motivo:
"Per non fare tardi a lezione".
(40)
"Mettere in ordine la mia stanza".
Motivo:
"Perché, essendo la stanza in disordine, non posso sistemare i libri".
(41)
"Tenere un'agenda".
Motivo:
"Spesso non ricordo quali impegni abbia in un determinato giorno".
(42)
"Interessarmi all'Italia".
(43) "Fare
amicizia con italiani [...]".
(44) "Farmi
piacere di più l'italiano. Avere un maggior numero di interessi nei confronti
dell'Italia".
Motivo: "Studiando
ciò che mi piace, lo studio non sarà soffocante".
(45)
"Studiare per la mia famiglia e laurearmi".
(46)
"Ottenere crediti e laurearmi".
Motivo:
"Per trovare lavoro".
(47)
"Risparmiare".
Fra gli
elementi demotivanti appare invece, in qualche caso, l'impressione di non fare
progressi (48).
(48) "[...]
non penso che la mia abilità nel conversare stia migliorando".
Di fronte a
questo, sarebbe importante che l'insegnante chiarisse che non tutti i risultati
delle attività sono immediati, e che, come ricorda Osborne (2005), non essendo
il progresso un processo lineare, talvolta è difficile notare progressi senza
arrivare alla fine del corso o anche in momenti successivi. Tuttavia questa
impressione potrebbe anche essere generata dalle convinzioni degli studenti.
Fattori
motivanti
Prima di
entrare nel merito, si premette che le considerazioni riportate di seguito si
riferiscono quasi esclusivamente alle lezioni dell'autore del presente
contributo.
Miglioramento della motivazione attraverso lo svolgimento
delle lezioni. Anche a
questo proposito, si riportano le osservazioni proposte dagli allievi, cercando
di comprenderne le ragioni e di trarne conclusioni utili al miglioramento della
qualità dell'offerta didattica. Alcune osservazioni vertono sul divertimento e
l'allegria che si provano imparando perché giocano un ruolo importante nella
motivazione (49).
(49)
"Aumenta la voglia di studiare l'italiano".
Molti
intervistati hanno usato "divertente" e "piacevole" nei loro commenti, quasi
mostrando una specie di sorpresa per la scoperta di poter imparare divertendosi
(vedi (25), (50), (52), (53), (54), (56), (58), (72), (73), (79) e (80)).
Tuttavia, Raffini (citato in Dörnyei, 2012) nota come la parola "divertente"
non sembri godere di una buona reputazione in ambiente scolastico. Diffusa, fra
docenti e studenti, commenta Dörnyei, è infatti l'opinione che si possa
imparare veramente solo se lo studio è serio e significativo.
Tra gli
elementi definiti "divertenti", si citano la varietà delle attività proposte
(50), l'effetto sorpresa (51) e l'attesa che si crea quando, per dare
istruzioni separatamente agli studenti prima di alcune attività di
conversazione libera, al fine di creare un vuoto d'informazione, una parte di
loro, in genere la metà, viene mandata fuori dell'aula (52).
(50) "È
divertente perché ci sono vari tipi di attività".
(51) "È
sempre impossibile prevedere quali attività svolgeremo".
(52) "Quando
usciamo, anche se a volte penso che sia un po' seccante, l'atmosfera si fa più
animata e divertente".
Dal momento
che normalmente le attività vengono svolte in coppia (in caso di numero dispari
si forma un gruppo di tre), in qualche commento si legge che lavorare con
compagni diversi è un fattore positivo (53)-(54).
(53) "È
divertente il fatto di non sapere, ogni volta, che cosa faremo e con chi
lavoreremo".
(54)
"Finora[12]
nelle lezioni di conversazione avevo lavorato sempre con lo stesso compagno,
quello con cui andavo d'accordo. Grazie, però, al fatto che l'insegnante forma
coppie in modo casuale, ho potuto confrontarmi con compagni di classe con cui
non avevo quasi mai parlato per un anno e ho trovato la cosa divertente".
Un altro
elemento sembra garantire l'effetto sorpresa: il fatto che non venga utilizzato
un libro di testo, quanto piuttosto materiali cartacei, il che conferisce
all'attività anche un senso di libertà (55)-(56).
(55) "Mi
piace il senso di libertà scaturito dal fatto che non utilizziamo un libro di
testo".
(56) "È
divertente usare materiali cartacei e non un libro di testo".
Si precisa
qui che i materiali vengono distribuiti solo quando l'attività lo richiede,
quindi esistono attività per le quali non viene distribuito alcun materiale.
Fonte di piacere è anche la soddisfazione derivante dal completamento
dell'attività e la conseguente percezione di aver raggiunto l'obiettivo (57).
(57) "Riuscire
a parlare solo in italiano per 30 minuti mi dava una grande sensazione di successo".
L'utilità
delle attività ai fini dello studio percepita dagli apprendenti, procurando
piacere in esso, innalza la qualità dell'atteggiamento degli apprendenti (58).
(58) "[...] il contenuto delle lezioni non è solo
divertente ma, a differenza delle lezioni tipiche, ci viene chiesto di usare la
testa in modo considerevole, cosa che io trovo significativa".
In un altro
caso, l'ascolto e la successiva discussione sui contenuti vengono sentiti come
utili anche per lo studio futuro dell'italiano (59).
(59) "Ho
pensato che l'attività in cui, dopo aver ascoltato persone parlare in italiano,
dobbiamo riflettere sul contenuto, sarebbe stata utile anche per lo studio
futuro dell'italiano".
Utilità
viene anche riconosciuta al fatto che l'insegnante si avvalga principalmente
dell'italiano nel corso della lezione (60).
(60) "Penso
che sia una buona cosa svolgere le lezioni principalmente in italiano. Finora[13]
le lezioni di conversazione venivano svolte in giapponese".
L'utilità,
oltre alle modalità legate alle attività, si estende anche ai contenuti e ai
tipi di testo (61)-(62).
(61) "Le
lezioni sono state utili perché si faceva conversazione quotidiana. Ho avuto la
sensazione che quando andrò in viaggio in Italia mi saranno senza dubbio
utili".
(62) "[...]
è stato stimolante ascoltare l'italiano autentico".
Il fatto
che le lezioni siano svolte in modo da dare priorità alla pratica della lingua
non solo facilita la comprensione, ma permette a chi impara di comprendere il
proprio reale livello, i propri progressi e lacune, così, rendendosi conto dei
propri limiti, si può cercare di superarli (63).
(63) "Mi
sono reso conto che la mia abilità nel conversare è palesemente migliorata.
Penso che se imparassi molte più parole potrei riuscirei a tenere una
conversazione in modo adeguato".
Ovviamente
questo va di pari passo con lo sviluppo dell'autonomia nell'apprendimento più
volte menzionato in questo lavoro. Le parole stesse di uno degli studenti, intento
a spiegare il motivo del gradimento delle lezioni, lo manifestano con chiarezza
(64).
(64) "[...] perché [scil.: l'insegnante] ci
fa lavorare autonomamente".
Il fatto
che non venga praticata alcuna forma di correzione da parte dell'insegnante
nelle attività in cui è previsto che gli studenti si esprimano liberamente
sembra avere effetti positivi sull'autostima, in particolare, degli apprendenti
giapponesi (65).
(65) "Molti
giapponesi, rispetto a persone di altre nazionalità, sono timidi[14],
ma facendo conversazione [scil. con i
compagni] possono acquistare fiducia in se stessi".
Presentare
contemporaneamente lingua e cultura sembra poi rappresentare un altro fattore
motivante. Gli intervistati sostengono di apprezzare in particolare l'uso di
canzoni italiane e filmati (66)-(68).
(66)
"Vorrei che a lezione usassimo anche programmi televisivi e filmati così da
potermi interessare all'Italia".
(67)
"Sarebbe divertente usare filmati come film e telefilm".
(68)
"Vorrei ascoltare più canzoni".
Per
esempio, uno di loro scrive di aver cominciato ad interessarsi alla musica
italiana dopo aver svolto delle attività su una canzone (69).
(69) "Sono
contento che [scil. l'insegnante] ci
abbia insegnato una canzone. Da allora mi sono un po' interessato alla musica
italiana".
Miglioramento della motivazione attraverso il
clima della classe.
Alcuni studenti attribuiscono al clima della classe il motivo per cui vengono
volentieri a lezione (70).
(70)
"Perché non c'è un clima di tensione".
È
importante al punto che si vorrebbe consigliare anche ad altri la frequenza al
corso, proprio per questa ragione (71).
(71) "Mi
sento a mio agio".
Altri
mostrano di apprezzare il clima informale delle lezioni (72).
(72) "Sono
piacevoli perché possiamo studiare l'italiano in maniera divertente in un clima
informale".
Questo
favorisce la creazione di uno spirito di gruppo[15].
Da non sottovalutare è anche il ruolo dell'allegria (73).
(73) "Mi è
piaciuto il clima piacevole e allegro delle lezioni. Si scherzava e c'era un
clima felice".
Un intervistato, rivolgendosi in generale ai docenti dell'università, fa
una richiesta legata a un aspetto più "pratico" (74).
(74)
"Vorrei che dedicaste del tempo alle attività rompighiaccio in modo che abbiamo
la possibilità di parlare con gli altri. Quando sono assente non ho persone con
cui ho sufficiente confidenza per chiedere [scil. quello
che è stato fatto durante la mia assenza]".
Infine, il
rapporto tra di loro sembra essere tanto importante che alcuni desidererebbero
che nessuno si assentasse mai perché più sono più si divertono (75).
(75)
"Vorrei che non vi assentaste".
Motivo: "Se
siamo in tanti è più divertente".
Miglioramento della motivazione attraverso
l'atteggiamento dell'insegnante. Alcuni commenti mostrano apprezzamenti relativi all'insegnante (76)-(77).
(76) "È
allegro, sorridente e si capisce chiaramente".
(77) "Posso
fargli domande senza timore, si relaziona con gli studenti con un atteggiamento sorridente e allegro".
Si menziona
qui il sorriso, che rappresenta uno degli elementi atti a mostrare benevolenza
verso l'interlocutore. Altri modi volti allo stesso scopo sono: fissare
l'interlocutore negli occhi perché denota interesse nei suoi confronti;
chiamarlo per nome (perché si mostra di riconoscere le persone come tali);
incentrare il discorso sull'altro evitando di parlare solo di sé stessi (anche
questa è una manifestazione d'interesse nei suoi confronti)[16].
Polito
(2014) definisce il sorriso "un gesto educativo. È una potente strategia
educativa che crea serenità in classe, diffonde allegria, regala leggerezza,
scioglie le tensioni, riduce la fatica, neutralizza le contestazioni, induce il
rispetto, fa riscoprire il valore di ogni persona" (p. 334). Chiamare gli
studenti per nome, inoltre, è utile, secondo un intervistato, anche per
un'altra ragione (78).
(78) "Ho
imparato subito i nomi di tutti perché Francesco ci chiamava spesso per nome".
Due
commenti (79)-(80) definiscono una dimensione di divertimento che scaturisce
dall'atteggiamento dell'insegnante, e uno di essi (79) fa chiaro riferimento
all'umorismo, che Dörnyei (2012) definisce, nella sua dimensione di mezzo
adeguato al miglioramento del clima di classe, con le seguenti parole: "È un
fattore potentissimo, tuttavia è spesso ignorato negli scritti teorici sulla
motivazione" (p. 41).
(79) "Penso
che [scil. il suo modo d'insegnare]
sia ottimo perché anche per noi giapponesi è chiaro, fa battute, è divertente
ed efficace".
(80) "Mi
piace la sua personalità. È allegro, gioioso e divertente".
Uno
studente ritiene importante l'atteggiamento gentile dell'insegnante (81).
(81) "Il
fatto che il modo di parlare e l'espressione del viso denotino gentilezza rende
facile rivolgergli delle domande".
Polito
(2014) si esprime sulla gentilezza sostenendo che se un insegnante è attento
agli aspetti motivazionali diventa inevitabilmente gentile. Una didattica che
esprime gentilezza e umanità viene presentata da Polito (2014) nel modo seguente:
"Valorizza l'attesa. Rispetta le pause. Abbraccia il silenzio. Accoglie
l'errore e lo usa per imparare a migliorare. Stimola l'apprendimento autentico
e sostiene la rielaborazione personale dello studio" (p. 332).
Alcuni
degli studenti apprezzano il fatto che l'insegnante risponda a qualsiasi tipo
di domanda (82).
(82)
"Quando gli fai una domanda, risponde subito".
Come
evidenzia Humphris (1997), affinché gli studenti siano autonomi, è importante
che siano loro a decidere che cosa vogliono sapere e non che sia l'insegnante a
decidere che cosa devono sapere.
Anche l'uso
del giapponese da parte dell'insegnante, il cui utilizzo ha l'obiettivo di
fungere da sostegno psicologico, ha ricevuto commenti positivi (83).
(83)
"Apprezzo molto il fatto che spieghi anche in giapponese".
L'entusiamo
dell'insegnante è menzionato in uno dei commenti come elemento positivo per la
motivazione (84).
(84)
"L'insegnante ha una grande energia".
Il ruolo
dell'entusiasmo dell'insegnante ai fini della motivazione è fondamentale perché
può risultare "contagioso". Così tanto Dörnyei (2012) che Wentzel e Brophy (2014),
basandosi su vari studi precedenti, ne sottolineano l'importanza.
Conclusioni
A giudicare
dai risultati ottenuti attraverso la presente ricerca, le problematiche legate
alla motivazione nei confronti dello studio nell'ambito universitario
presentano una grande complessità.
Tale
complessità si manifesta in una serie di elementi di natura e di portata
diverse. Da una parte troviamo fattori su cui non è facile intervenire, in
parte perché derivanti dal sistema di valori insito nella società in cui gli
apprendenti dovranno in futuro inserirsi, e in parte perché legati ai principi
ispiratori, ai regolamenti e alle strutture materiali dell'ateneo di
riferimento. Un altro degli elementi individuato nel corso della ricerca
risiede nel sostegno, finanziario o morale, manifestato dalle famiglie.
Si è
inoltre osservato come una parte di questi elementi si trovi alla base delle
convinzioni che gli studenti nutrono verso la propria istruzione da un lato, e
verso le finalità e le modalità del proprio studio dall'altro. Le condizioni
che si presentano a chi si iscrive ad un corso universitario, dunque, possono
non essere favorevoli a far nascere un atteggiamento volto allo sviluppo della
motivazione concepita come "piacere di imparare". Questo atteggiamento, come si
è visto, può rivelarsi dannoso per lo studio e, conseguentemente, per
l'apprendimento.
Non è certo
possibile all'insegnante intervenire sui fattori appena esposti, ma questo non
esclude che possano esistere spazi atti ad indurre gli apprendenti a rivolgere
verso lo studio uno sguardo positivo e ad aiutarli a sviluppare una motivazione
intrinseca. Al contrario, solo chi insegna può intervenire nell'azione
didattica, servendosi di modalità che si esprimono sotto aspetti diversi. Da
una parte può utilizzare attività didattiche che rendano gli studenti — e non i
docenti — protagonisti del proprio studio, ma queste da sole non bastano:
proprio per rendere efficaci queste attività, chi insegna dovrà impegnarsi nel
creare in classe un clima positivo, promuovendo la cooperazione, e non la
competizione, evitando dannose tensioni. Ancora, con il suo stesso
atteggiamento, attraverso il sorriso, la gentilezza, il senso dell'umorismo,
l'entusiasmo e l'allegria, può far percepire agli studenti che studiare può
essere piacevole ed accrescere così il loro livello di motivazione. A questo
scopo, è importante operare per una sensibilizzazione dei docenti in modo che
acquistino la consapevolezza di quanto in realtà loro stessi possano fare per
favorire lo sviluppo della motivazione dei propri allievi e, affinché questa
sensibilizzazione possa aver luogo, è fondamentale la consapevolezza che alla
motivazione spetta un posto centrale nella programmazione didattica: senza di
essa, infatti, non ci può essere un apprendimento reale.
Sarebbe
auspicabile, in futuro, approfondire alcune delle tematiche emerse nel presente
studio. Ci riferiamo in particolare alle convinzioni degli studenti, e al clima
e alla coesione della classe. Le prime non sono da sottovalutare perché, la
metodologia dell'insegnante, seppure efficace, qualora dovesse incontrare
resistenza da parte degli studenti, non solo non sortirebbe gli effetti
desiderati, ma ne minerebbe la motivazione e forse anche il rapporto. È
fondamentale, dunque, sapere come comportarsi in questi casi senza dover
rinunciare al metodo in cui si crede. Gli studenti, infatti, hanno delle
aspettative che ricalcano le loro precedenti esperienze di studenti. Pertanto hanno
bisogno di essere formati.
Anche
sapere come creare un buon clima di classe e promuovere la coesione di
quest'ultima sono aspetti da approfondire affinché gli studenti possano
lavorare proficuamente e trarre il maggior vantaggio possibile dalle attività
svolte. Maggiori ricerche in tal senso permetterebbero ai docenti di ricordare
che i discenti non hanno solo un cervello, ma anche un cuore.
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Appendice
A
Semestre primaverile del
2015
Foglio di dialogo tra
docente e studenti
Ti prego di rispondere al questionario al fine di
migliorare le lezioni.
Data: ......................................
Insegnamento: ............................................................................
Nome e cognome: ......................................
(facoltativo)
Hobby: ............................................................................
a. Esprimi un giudizio
sul tuo livello di motivazione nei confronti di questo corso
molto alta - alta - mediamente alta -
bassa - molto bassa
b. Perché?
........................................................................................................................................................
c. Partecipi attivamente
al corso?
sempre - spesso - di solito - qualche
volta - mai
d. Perché?
.........................................................................................................................................................
e. Al di fuori
dell'orario delle lezioni, ti eserciti/studi per questo corso?
sempre - spesso - di solito - qualche volta - mai
f. Perché?
........................................................................................................................................................
g. Il metodo
dell'insegnante è
ottimo
- buono - così così - non molto buono - pessimo
h. Scrivi qualche commento sul metodo.
........................................................................................................................................................
i. Esprimi un giudizio sulle attività svolte in
classe.
........................................................................................................................................................
j. Consiglieresti questo corso ad altri studenti?
Sì No
k. Perché?
........................................................................................................................................................
l. Scrivi qualche consiglio.
........................................................................................................................................................
........................................................................................................................................................
m. Posso usare le informazioni che hai scritto in
questo questionario anche per la mia ricerca e per scrivere articoli?
Sì
No
Grazie della collaborazione
Appendice B
Questionario relativo alla
ricerca sulla motivazione
Rispondi, onestamente, a tutte le domande.
Data: .......................................
Insegnamento: ............................................................................
Nome e cognome: ......................................
(facoltativo)
a. Perché hai pensato di studiare l'italiano?
.........................................................................................................................................................
b. Ricorda alcune cose di questo corso che ti sono
piaciute, che ti sono state utili o di cui sei soddisfatto. Perché pensi che ti
siano piaciute, ti siano state utili o ti abbiano soddisfatto[17]?
........................................................................................................................................................
c. Basandoti sulla tua esperienza di studente, non
solo universitario, dimmi di che cosa hai bisogno affinché tu possa impegnarti
di più in questo corso.
1. Quello che vorresti
che facesse l'insegnante:
.........................................................................................................................................................
Motivo: ........................................................................................................................................................
2. Quello che vorresti
che facessero gli altri docenti di questa università, di cui stai seguendo i
corsi: .........................................................................................................................................................
Motivo: ........................................................................................................................................................
3. Quello che vorresti
che facessero i compagni di classe di questo corso:
........................................................................................................................................................
Motivo: ........................................................................................................................................................
4. Quello che vorresti
che facesse la tua famiglia:
........................................................................................................................................................
Motivo: ........................................................................................................................................................
5. Quello che puoi fare
tu:
........................................................................................................................................................
Motivo:
........................................................................................................................................................
6.
Quello che vorresti che facesse questa università
(filosofia dell'università, del corso di laurea a cui sei scritto o della
materia di specializzazione; sistema; regolamento; strutture; club ecc.):
.........................................................................................................................................................
Motivo:........................................................................................................................................................
7. Quello che vorresti
che facesse la società (sistema d'istruzione e della ricerca del lavoro in
Giappone):
........................................................................................................................................................
Motivo: ........................................................................................................................................................
8. Quello che vorresti
che facessero i tuoi amici:
........................................................................................................................................................
Motivo: ........................................................................................................................................................
9. Altro:
........................................................................................................................................................
........................................................................................................................................................
Motivo: .........................................................................................................................................................
........................................................................................................................................................
Grazie della collaborazione.
[1] Il corso dura due anni e consiste in una lezione di 90 minuti tenuta
quotidianamente dal lunedì al venerdì per 15 settimane a semestre. Due di esse,
definite di Conversazione (termine
che nei sillabi delle università giapponesi include in genere anche attività di
ascolto), sono affidate all'autore, mentre due lezioni di morfosintassi e una
di lessico sono curate da docenti giapponesi. Alla fine dei due anni, gli
allievi raggiungono mediamente il livello A1-A2.
[2] Le lezioni affidate all'autore si svolgevano il
lunedì e il venerdì alla prima ora per gli studenti del secondo anno e alla
seconda per quelli del primo. Le lezioni erano volte a promuovere l'apprendimento attivo descritto in
seguito attraverso l'approccio comunicativo della Dilit International House.
[3] I questionari, somministrati in
giapponese, possono essere consultati rispettivamente nell'Appendice A) e nell'Appendice B) nella traduzione italiana.
[4] Tutte le traduzioni sono
dell'autore.
[5] Wenzel e
Brophy (2014) ne portano qualche esempio: se le prove contengono solo tecniche
di abbinamento o di riempimento di spazi gli apprendenti probabilmente
opteranno per una memorizzazione superficiale dei materiali; se l'insegnante preannuncia i contenuti oggetto
d'esame, concentreranno i loro sforzi solo su di essi, e così via.
[6] Il sito web dei due
programmi è consultabile all'indirizzo https://www2.nhk.or.jp/gogaku/italian/
[7] Una di queste è, più
precisamente, un istituto universitario biennale.
[8] Le file per i servizi
possono essere snervanti, soprattutto negli orari in cui questi sono più
utilizzati. Un maggior numero di autobus, soprattutto in certi orari, può
permettere di uscire più tardi di casa. Il riferimento alle scale mobili deriva
invece dal fatto che gli edifici del campus sono sparsi lungo una collina e lo
spostamento, nel caso in cui due lezioni si svolgano in edifici diversi, può
richiedere tempo ed energia.
[9] Per esempio, durante una
lezione, un'allieva ha cercato più volte di svolgere frettolosamente dei
compiti per un'altra lezione dello stesso giorno. A esplicita richiesta, ha
spiegato che non era riuscita a svolgerli a casa e temeva che il docente, che
non conosceva abbastanza (trattandosi del primo semestre del I anno), non si sarebbe
mostrato comprensivo.
[10] Per alcune strategie
praticabili a questo scopo, vedi Dörnyei, 2012, pp. 109-116.
[11] Se il
pretesto viene avanzato dopo aver fatto qualcosa, attribuire l'insuccesso a
cause diverse dalle proprie capacità o impegno facilita la diminuzione dello
stress, ma allo stesso tempo può comportare
il rischio dell'abbassamento degli obiettivi (Yūki 2015b).
[12] Lo studente si riferisce
all'anno precedente, quando lo scrivente non lavorava ancora in questa
università.
[13] Vedi n. 12.
[14] Questo dato è confermato
da Yashima (2010) che, citando Klopf, Klopf e Cambra, e McCroskey, Fayer e
Richmond, spiega che i giapponesi sono più ansiosi nella comunicazione
interpersonale in lingua madre di statunitensi, australiani, sudcoreani,
cinesi, filippini e micronesiani; sono inoltre più introversi degli inglesi
(per questo caso cita Iwawaki, Eysenck e Eysenck) e hanno spesso un
atteggiamento passivo durante la conversazione con sconosciuti. Interessante
sottolineare a questo proposito ciò che uno studente del I anno ha scritto nel
primo questionario (1).
(1) "Non riesco a tenere conversazioni in italiano cariche di contenuto se non
con persone che conosco".
Questo sembra confermare
l'importanza della coesione del gruppo classe. Il caso di questo studente, che
in entrambi i questionari si è mostrato molto critico e poco paziente nei
confronti dei compagni e anche dello scrivente, induce però a ricordare che ci
sono apprendenti che necessitano di più tempo di altri per instaurare dei
legami.
Ancora Yashima (2010),
citando Sato e Song, ricorda che gli
studenti asiatici, giapponesi inclusi, in classe comunicano con meno frequenza
degli studenti europei.
[15] Una delle modalità della
lezione è che gli studenti, più volte nella stessa lezione, devono cambiare di
posto, il che favorisce, ad esempio, la circolazione delle idee. Come ricorda
Yūki (2015b), il fatto di sedersi accanto a una persona significa entrare
nel suo spazio personale e ciò aumenta la possibilità di sviluppare intimità,
amicizia.
[16] Per esempio si può
chiedere come abbia trascorso le sue giornate oppure richiamare informazioni
relative all'interlocutore ottenute in passato (Yūki 2015a, p. 53).
[17] La lettera b, c e la c5
sono state adattate da Mariani, http://www.learningpaths.org/motivazione/b1.htm
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